Berlino // 9.0 (o 10.0)

La verità è che non lo ricordo. Se sono 9 o 10 intendo. Ce ne dev’essere una corta che ho tentato di rimuovere, ne sono certa. Poi ormai sono anziana e le cose più vecchie le ricordo a fatica. E meno male.

Ok basta deliri.

Che posso dire di nuovo, dopo 9 visite? In realtà posso confermare lo stupore, che non cessa mai, a trovarsi davanti certe meraviglie architettoniche. Le solite cose un pò da provinciali quali siamo, che notiamo noi italiani ovvero cosa funziona bene rispetto all’Italia. Un sacco di cose, ma stavolta mi trovo a stupirmi nel museo della DDR, pensando che da noi, un museo dove si utilizzano le cose che sono esposte, si ritroverebbe vuoto o distrutto dopo una settimana. Già vedevo gruppi di studentelli a rubare manciate di chicchi di caffè.

Sono provinciale lo ammetto, ma in fondo Milano è un comune, rispetto a tante città Europee, e noi come evoluzione più o meno siamo al livello dell’uomo di Neanderthal, c’è poco da fare (non menzionatemi gli italiani intelligenti del passato perchè non vale se sono morti da più di 300 anni).

Detto questo, è stata una delle più belle vacanze della mia vita. Mai riso tanto, preso tanto freddo, camminato e visto. Mai stata così vicina alla Porta di Brandeburgo a dormire, ad esempio. Mega affarone fatto qui: http://www.booking.com/hotel/de/apartments-am-barndenburger-tor.html?label=gog235jc;sid=b63050136d708b1254d47e5de0bdfe24

Appartamento da sei, bellissimo, enorme, in una posizione che non me la sarei neanche sognata. Dalla nostra finestra del salotto (finestra enorme, in pratica il soggiorno che ho sempre desiderato) vedevamo le stanze da 1000 euro dell’Adlon e mi veniva quasi da ridere. Compagni di viaggio splendidi e paiass, i deliri sono cominciati ad Orio al Serio e non sono ancora finiti (manca un documento video di inestimabile valore in attesa di pubblicazione), visita al museo del cinema accompagnata finalmente da qualcuno che capisce le urla isteriche davanti ad un oscar o al cappello di Marlene Dietrich. Panini con aringhe alle 10.30. Ore di sonno che si contano sulle dita di una mano. Lego. AVATAR 3D (se solo riuscissi a parlarne, meriterebbe un post tutto suo, ma magari aspetto una seconda visione). La spesa. Il bagno che ha visto cose che voi umani non potete neanche immaginare. Karaoke partiti nei luoghi più improbabili, con canzoni ancora più improbabili. Milioni di foto. Citazioni cinematografiche a pioggia. Insulti a Sandra Bullock a cascata. Meryl, ora e sempre sia lodata. Ecco, così posso metterla di nuovo nel tag, visto Beps?

Di Berlino ho parlato spesso, quindi lascerei parlare un mio vecchio articolo per non scriverne uno identico. Quello che penso su questa meravigliosa città, in fondo, non è cambiato.

Ma prima, ecco qualche foto:

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BERLIN // EINSTURZENDE NEUBAUTEN

Ci sono città che non si riesce a sentire come proprie, come “casa”, non importa da quanto tempo ci si viva. E poi ci sono quelle che, nel momento stesso in cui si esce dall’aeroporto, danno quel senso di tranquillità e familiarità tipiche solo del paese in cui si è sempre vissuto.
A me è successo questo a Berlino. Non in modo così immediato però. Ci è voluta una buona settimana di odio profondo, dovuto principalmente alle abitudini alimentari locali (quell’odore di birra e kebab in metropolitana alle 8 del mattino a cui successivamente ti affezioni e senti anche quando sei a Milano), per far scattare, improvviso come la nevicata di quel giorno, l’amore.
Quando pensi di averla capita, Berlino cambia e ti rendi conto che quello che hai visto finora è solo una piccolissima parte.
E il resto… Il resto è completamente diverso.

La mia prima visita, nel 2001 in stage linguistico, fu principalmente divisa tra Friedrichshain, Lichtenberg e Mitte, con rare escursioni ad ovest, causa giovane età e terrore di esplorare qualcosa di così grande e strano come era in effetti per noi quella città. Dunque restammo più o meno dove erano le case delle nostre famiglie e nella zona della scuola. Diciamo che vidi poco.
Certo, ci portarono a Potsdam e al campo di concentramento di Sachsehnhausen, ma di tutte le visite alla città quella fu la più inutile perché come spesso succede nelle gite scolastiche, fai affidamento sul fatto che chi ti accompagna ne sappia più di te, cosa che puntualmente viene smentita dalla realtà del nulla con cui poi torni a casa.

Ma Berlino fortunatamente non ha bisogno di qualcuno che te la mostri, perché si mostra da sè.
Andando dalla scuola che frequentavamo alla mensa, ad esempio, passammo per due settimane davanti alla casa di Bertold Brecht in Chausseestrasse e al Dorotheenstädtischer Friedhof, dove sono sepolti Heinrich Mann, Hegel e Schinkel, tra gli altri, benché all’epoca fossi troppo giovane per rendermi conto dell’importanza storica di quei luoghi.

Da quella volta tornai a Berlino con più consapevolezza, e sempre più frequentemente. Vidi cambiare Berlino con ogni visita. Palazzi che prima non c’erano si ergevano alti e palazzi che invece mi ero abituata a vedere sparivano. Continua evoluzione, ma anche un onnipresente legame con ciò che è stata la sua storia. Ecco cos’è Berlino.
Dunque ti può capitare di essere in Potsdamer Platz, la parte più architettonicamente innovativa della nuova Berlino, abbassare lo sguardo e trovare a terra il muro, il suo segno, quello di dove passava. E quegli enormi grattacieli, o la cupola multicolore, spariscono e intorno a te si fa silenzio mentre immagini come doveva essere, anche solo dieci anni fa. Strade deserte, binari del tram che finivano contro il muro, intorno il nulla.
Oppure puoi passeggiare e renderti conto che proprio lì, dove stai camminando con in mano il tuo Starbucks bollente, sorgevano le sedi di SS e Gestapo, luoghi dove sono stati ideati e diretti alcuni dei peggiori crimini della storia.
Poi svolti l’angolo e tutto passa, anche se una certa aria nostalgica è difficile da ignorare almeno finché si è, nonostante tutto, turisti. Come resistere davanti al museo della DDR, entrare nella Trabant e tentare di metterla in moto, aprire gli sportelli e trovarci i pisellini Globus e i cetriolini Spreewald!?
Come è evidente, credo di essermi affezionata più alla parte est che a quella ovest di Berlino. Certo, una visita all’ultimo piano del KaDeWe è quasi d’obbligo, come anche la visione notturna della Gedächtniskirche, uno dei pochissimi edifici lasciati esattamente come erano dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, che toglie letteralmente il fiato.

Per quanto riguarda la vita sociale e artistica, Berlino è certamente il sogno di chiunque abbia un minimo di creatività. Uno dei luoghi che preferisco in tal senso è il Tacheles, centro socio-culturale tra i più noti a Berlino, 4 piani di musica, teatro, cinema, atelier e spazi per creare la propria arte, dove frequentemente si possono trovare artisti, tedeschi e non, in piena attività.
Un edificio abbandonato e poi occupato, un po’ come i nostri centri sociali. Solo un po’ più focalizzato sull’arte, sullo spirito creativo e sull’aggregazione che sull’aspetto politico/musicale e di costante lamentela sociale passiva che invece contraddistingue i nostri centri sociali.
Sarà che ho sempre impressione che in Italia la parola arte metta una paura tremenda, ma a Berlino senti e respiri una libertà di creare che non mi è mai capitato di percepire altrove.

Dalla mia ultima volta in città sono passati dieci mesi, e alla prossima ne mancano due.
Sarà la prima volta senza il Palast Der Republic, ora demolito, e nel frattempo Tempelhof (l’aeroporto del ponte aereo, dove ho avuto la fortuna di atterrare e decollare anni fa) è stato chiuso davvero.
Ma sono certa che anche questa volta troverò qualcosa di nuovo, inaspettato.