IAA // iPhone Addicts Anonymous

Non sono mai stata tipo da giochi e una volta finita l’epoca del Nintendo e delle sale giochi ho deposto il joystick senza più riprenderlo in mano per almeno un decennio.

Troppo lunghi i giochi e soprattutto mi sono sempre sentita inabile io, MAI FINITO UNO IN VITA MIA. Forse perchè mi rompo le balle prima, o più probabilmente perchè proprio di concentrarsi per capire come scavalcare una siepe il mio cervello non ne vuole sapere.

Ma, e c’è sempre un ma, dopo.. molto dopo, è arrivato l’iPhone. E insieme a lui, le applicazioni.

Una condanna. Mi ripeterò in questo caso ma chiunque stia pensando “ma dai, come si fa a giocare con il cellulare” non ha mai preso in mano un iPhone. Non ha mai vissuto l’iniziale brivido dello zoom con due dita, non ha mai urlato “noooooooooooooo” la prima volta che per provare l’accelerometro ha distrutto l’aereo in mezzo al mare e soprattutto non ha mai maledetto il malcapitato che telefonando in un momento inopportuno ha interrotto un probabile record mondiale, e iniziato la telefonata con il suddetto malcapitato con un infastidito: “spero per te che sia importante”.

Quindi ho iniziato a pescare con il mio iPhone lanciando le cuffie per tutta la metropolitana per buttare l’amo, ingaggiato pesanti battaglie con la polizia dando spallate ai poveri vicini di posto per distruggere le fiancate altrui, schiacciato furiosamente i quadratini colorati di Plock per superare l’impossibile livello 9, saltato tra i palazzi con il volume sparato al massimo per poi infrangermi contro un muro dopo la distanza record di…. 400 metri.

Per riuscire a leggere un libro in bagno sono arrivata al punto di lasciare l’iPhone fuori perchè in caso contrario con la scusa “facciamo un livello solo” il libro durava mesi e soprattutto per uscire dal bagno ormai paralizzata avrei dovuto chiamare il 118.

Ma niente, niente poteva prepararmi alla dipendenza, quella vera, da Angry Birds.

Il gioco non è che sia complesso: si tratta di lanciare uccellini con una fionda per distruggere con il numero minore di colpi dei simpatici porcellini verdi.

Ovviamente il gioco si fa più complesso con il passare dei livelli, aumenta il numero e la varietà di uccellini, i porcellini si mettono il casco e i blocchi che li proteggono diventano a mano a mano più pesanti il che rende la dipendenza quasi inevitabile.

Perchè (ed è piuttosto imbarazzante da ammettere) l’adrenalina prodotta da un livello superato è una droga: risparmiare ben tre uccellini poi, indescrivibile.

I livelli sono infiniti, e la seconda sfida è terminarli tutti con il punteggio più alto.. praticamente impossibile, viene da dire lanciando il telefono (contro una superficie morbida, ovviamente).

Salvo poi fissarlo per dieci minuti, scusandosi, e riprenderlo in mano.. inesorabilmente.

Books to Remember // La Vita Oscena, Aldo Nove

Non sono il tipo che esorcizza i momenti di merda alleggerendoli. Mai stata, anzi, se è possibile gradisco arrivare al fondo il prima possibile, per levarmi il pensiero.

Le distrazioni, la musica leggera, i film “da ridere” non fanno per me, anzi mi provocano un forte giramento di palle.

Dunque ieri mattina, posizionatami nel mio comodo letto anni 70 al secondo piano del settore 2 ho iniziato la solita obbligatoria liturgia religiosa. Via le All Star, fuori le cuffie, fuori The Deathly Hallows, via la modalità aereo, una rapida occhiata alla posta e infine lui: Pulse.

Ora, chiunque si lamenti o neghi le potenzialità di iPhone molto probabilmente e altrettanto semplicemente ha due problemi: vorrebbe possederne uno con tutto se stesso ma a) non può averlo b) non avrebbe la minima idea di come utilizzarlo. Non vedo altre possibilità perchè semplicemente non ce ne sono. Certo c’è chi semplicemente è indifferente a tutta la questione, e codesto individuo ha la mia massima stima perchè non è da tutti essere bombardati da qualsiasi tipo di assurda funzione e continuare imperterriti ad usare il telefonino per mandare sms e telefonare. Tant’è che chi mi propone un’argomentazione simile ha automaticamente vinto perchè non riesco proprio a trovare una risposta convincente in questi casi.

Tornando a Pulse, che ha generato questa parentesi, sarebbe una delle tante app di feed readers, aggregatori di feed che permettono di consultare tutte insieme le novità dei blog che si intende seguire. Comodissimo, soprattutto se uno sente la necessità di informarsi aggirando le classiche 4 fonti, e permette inoltre di condividere su Facebook, Twitter e altri lidi le notizie o i post più interessanti. Una tappa obbligata dunque, e tra i blog che seguo più o meno assiduamente c’è quello di Daria Bignardi, dove trovo questo post che attrae subito la mia attenzione: Scusa Mamma Ma Che Cosa Vuol Dire Osceno?

E sempre perchè ho questo problema con l’esorcizzazione del malessere, dopo la frase “La vita oscena mi ha fatto male.” ero già conquistata, pronta a scendere in libreria perchè è provato scientificamente che se un libro fa male beh, allora è il libro giusto. Mica succede tanto spesso. Ti può smuovere, un pò infastidire, farti anche incazzare.. ma quando fa male, è un’altra storia.

Conoscevo già Aldo Nove, grazie a quel magnifico sprezzante e mai tanto attuale delirio che è Superwoobinda, consigliatomi anni fa da un amico, che ci mise poco a folgorarmi, anzi pochissimo. Bastò l’incipit di uno dei racconti:

Ho ammazzato i miei genitori perché usavano un bagnoschiuma assurdo, Pure & Vegetal.
Mia madre diceva che quel bagnoschiuma idrata la pelle ma io uso Vidal e voglio che in casa tutti usino Vidal.

Dopo questa lettura però, non ho più approfondito Nove, e ora onestamente mi chiedo come mai, perchè solo oggi mi sono resa conto di quanto mi sia mancato.

L’aver reso gli ospedali dei quasi centri commerciali è una scelta che mai in vita mia mi sarei immaginata di criticare ma ancora meno avrei immaginato di trovarmi qui a tesserne le lodi ma quando in pieno orario di punta, alle 8 del mattino, vedo i tre commessi affaccendarsi alla ricerca dell’unica copia rimasta del libro mi si stringe il cuore: cose che non si vedono nemmeno nelle librerie del centro, dove in teoria esisterebbe una postazione apposita occupata da qualcuno che sempre in teoria sarebbe pagato per rispondere alle mie domande e cercare i libri che gli chiedo.

Dunque lodi ai pavidi commessi e lodi, quando ci vuole ci vuole, anche alla Bignardi. Perchè ci pensavo, leggendo il libro tutto d’un fiato questa mattina, superando dolorosamente la prima parte per inoltrarmi negli abissi della seconda: non dev’essere facile rispondere a tua figlia che ti chiede il senso di “una vita oscena” proprio mentre pochi centimetri più in la parole come quelle ti scivolano addosso come sassate.

Ci voleva, oggi, un libro del genere, ma sono perfettamente consapevole del fatto che no, non è per tutti. Quindi vi do la possibilità di scegliere. Un altro incipit, questa volta un pò più lungo, e poi sarete voi a decidere se potrete, o vorrete, entrare nella rete degli scrittori cannibali. Cannibali delle loro stesse anime, ma anche delle nostre. Io prego che, al contrario di quanto ho letto un pò ovunque oggi documentandomi per questo post, che non siano finiti.

Uno

Mio padre morì all’improvviso, di ictus.
Gli sopravvisse mia madre, malata da anni di cancro.
Sarebbe dovuta morire prima lei.
Tutti aspettavamo la morte di mia madre.
Ogni giorno, da quattro anni.
Non se ne parlava.
Lo si sapeva, tutti lo sapevano.
Quello era vivere la morte.
La morte di mia madre.

Invece, morì lui.
Mia madre la prese come un’offesa inimmaginabile.
Sì. Era morto prima lui.
Per anni lei aveva lottato contro il cancro.
Adesso era rimasta da sola.
Sola con me e mio fratello.
Io avevo quattordici anni.
Mio fratello otto meno di me.
Da quattro anni ero alcolizzato.