Mal d’America.

22082012-DSC_0958

 

Ho il mal d’America.

Ho sempre sentito parlare del mal d’Africa, ma del mal d’America mai.

E intendo America del Nord, Stati Uniti, lo dico per i puristi che “l’America è tutto il continente”. Lo so, ma dire “Ho il mal d’America del Nord” non è proprio la stessa cosa, non credete?

Io ce l’ho, ne sono certa. Credo di avere tutti i sintomi, se esistono.

Tipo inziare ora, nel mese di dicembre, a pianificare il viaggio successivo.
Tipo iniziare conversazioni random con la frase “Eh.. ma in America” e continuandole come le nonne ovvero “il latte costa meno.. la benzina costa meno… gli alberghi costano meno… il cibo costa meno….”

In America scopri che quella degli italiani ospitali è una menzogna. Loro sono sinceramente gentili. Se sei fermo come un pirla in mezzo alla strada fissando, che so, il vapore che esce da un tombino, l’americano non ti urla contro “fora di ball” ma ti chiede se hai bisogno di indicazioni. E se ti servono, cosa che sembrerà assurda a voi stronzi che sogghignate dopo aver mandato un turista a Palestro invece che in Piazza Castello, te le da giuste, a costo di accompagnarti a piedi.

Le cassiere iniziano le conversazioni con “salve, tutto bene?”, non con un grugnito seguito da “ce l’ha la fidaty?”. In America.
Certo hanno anche i serial killer in America ma si sa, in quel caso è colpa della madre che gli ha dato poco affetto da piccoli.. probabilmente perchè faceva la cassiera e lo dava tutto ai clienti.

In America in mezzo al deserto c’è un posto che consuma più elettricità della Lombardia, e in questo posto c’è una piccola Ny, Venezia, e c’è la Tour Eiffel. Ci sono la Piramide e la Sfinge. Perchè? Perchè non sono mica come noi che perdiamo interi stipendi in luridi bar di periferia, loro se devono diventare poveri almeno hanno bisogno dell’illusione di averlo fatto divertendosi. Possibilmente sposando totalmente ubriachi degli sconosciuti.

Sono obesi, ok, ma vuoi mettere la soddisfazione di non dover leggere tutte le mattine:  “La colazione ideale: 4 tarallucci, un bicchiere di latte e un frutto” sulla confezione dei biscotti? Lì ci sarà scritto un enorme “STI CAZZI, LIFE’S TOO SHORT NOT TO EAT BACON”.

Mi mancano tante cose degli USA, alcune veramente stupide come i supermercati che sono luna park se visti con i nostri occhi, altre così personali che a descriverle si fa una gran fatica.

Cosa si provi, ad esempio, quando si parte una mattina dalla sabbia del deserto e si riapre la portiera della macchina all’Inspiration Point a Bryce Canyon, a 2.500 metri.

O a sedersi sul bordo di uno dei punti di osservazione del Grand Canyon nella totale incapacità di pronunciare parole con un senso compiuto perchè tutto è troppo grande, troppo profondo, troppo libero. Arrivare fino a Desert View in una giornata dal cielo limpido con lo sguardo che si perde per chilometri verso l’orizzonte e quando si abbassa incontra il fiume Colorado che sembra così piccolo che ci si ferma a pensare: wow, certo che hai fatto proprio un bel casino. Sedersi su una panchina ad ascoltare il ranger aspettando il tramonto.

Schivare un serpente a sonagli, passeggiare con un cervo.

Ricoprirsi di sabbia rossa nella Monument Valley e scoprirsi esperti guidatori 4×4 perchè il pulmino scoperto fa troppo turista, pregando poi ad ogni buca che all’autonoleggio non ci facciano pagare i danni.

Il calore mai sentito della Valle della Morte a qualsiasi ora, quel brivido di terrore che ti percorre il corpo quando ti allontani dalla macchina e tra i 50 gradi e il vento pensi che non ce la farai a tornare. I 4 litri d’acqua bevuti in poche ore, nelle quali non hai incontrato nessuno, se no il più totale e assoluto e meraviglioso nulla. Zabriskie Point al tramonto. Il pensiero, nella sera in cui muore Neil Armstrong, che in un posto più vicino alla luna non potresti essere.

Guidare nel west.

Può sembrare una di quelle cose ingigantite dal mito, che poi che differenza potrà mai esserci, guidare è sempre guidare, a Cormano come a Kingman.
No.

Dai, che uno poi arriva lì e le strade sono tutte uguali in fondo, sai che palle.
Oh no.

Certo uno deve crescere con quel mito della polvere e delle strade senza tempo che gli scorre nelle vene al posto del sangue per capire la necessità di prendere un aereo e dopo una media di 15 ore di volo fuggire a gambe levate dalla civiltà per finire nel nulla più assoluto, non è una cosa apprezzabile da tutti.

Ma per chi da questa malattia chiamata on the road è irrimediabilmente affetto, non c’è niente di più lontano dalla verità.

Nel west puoi guidare per 6 ore consecutive senza rendertene conto, ringraziando quelle che ti aspettavi essere delle noiosissime strade che continuano dritte per l’eternità, perchè grazie a loro puoi guardarti intorno con gridolini di meraviglia e fotografarle ad ogni microcambiamento senza rischiare di sfracellarti contro qualcosa. E’ l’unico posto in cui non parlare, in macchina, è a volte inevitabile. E’ il posto in cui quando partono Sweet Home Alabama e Take Me Home, Country Roads ci credi davvero, anche se sei in Arizona, nonostante il titolo della prima e nonostante la seconda dica “Almost heaven, west virginia, Blue ridge mountains, shenandoah river . Life is old there, older than the trees. Younger than the mountains, blowing like a breeze”. Insomma, la seconda parte va bene lo stesso, la prima è un dettaglio.

E’ difficile imbattersi contro alcunchè, in verità, ma il west è quel posto in cui il cielo prende vita e diventa qualcosa che fisseresti per sempre, non ti fa sentire nostalgia dell’umanità e ti permette di distaccarti dalla necessità della compagnia del cemento.

Il cielo. E’ enorme, sembra non finire mai, tanto che a guardarlo da sinistra a destra a volte se sei particolarmente fortunato capita di vederci 3 tipi di climi diversi: sole, pioggia, arcobaleno. Abbraccia la terra in un punto talmente lontano che è impossibile metterlo a fuoco.

Lo spazio. C’è tanto spazio nel west. C’è talmente tanto spazio che guidando abbastanza a lungo puoi tranquillamente girare un film nella tua testa mettendoci dentro qualsiasi cosa senza che questa venga intralciata dalla realtà. Il west è quel posto in cui puoi inventarti di tutto, e dimenticarti la tua vita.

Il tempo. Potrebbe essere il 1800, come il 2001. Guardando bene dietro una roccia potrebbe essere nascosto un indiano, ma dietro la collina ecco comparire un pannello solare. Non credo capiti molto spesso ai vecchietti nel west di dire “ah mi ricordo quando ero bambino e qui c’erano solo campi e nient’altro”, perchè lì è tutto come quando erano bambini. Spesso non sono cambiati neanche i diners che della loro immutata rozzezza vanno orgogliosi. Est. 1870 strillano le insegne ed è lì che il malato di America si fionda per un caffè, un pasto, una sosta.

Apre quelle porte sudice e malandate e trova quel classico pezzo country che suona al jukebox, proprio come ha sempre sognato, i divanetti di pelle uno di fronte all’altro e la cameriera incazzata che ti riempie la tazza, che essa sia piena oppure no poco importa.

Un approdo sicuro nell’immensità del deserto, ecco cosa sono i diners. Posti in cui puoi trovare la familiarità e il calore che quando tutto è così grande ti fanno una strana impressione, perchè sono cose che ti aspetteresti da quella provincia italiana fatta di case appoggiate l’una all’altra e parenti e chiacchiere, non in un luogo in cui il vicino più vicino dista un paio di km.

La polvere. Non mi è mai capitato di essere così contenta di essere sporca alla fine di una giornata, di sedermi per terra, salire su pietre dune sabbia con tanta disinvoltura, e contare i lividi con in bocca il sapore della vittoria. In America, succede. Succede ad esempio di camminare, scalare, scendere e salire più di quanto non si abbia fatto negli ultimi 5 anni messi insieme, perchè niente come l’America ti fa dire “ma sì, andiamo ancora un po’ più la”.

Poi questo “la” è talmente grande che ci si deve arrendere, purtroppo, almeno finchè saranno solo vacanze. Ma anche lì, l’America premia la tua fatica e sa salutarti a dovere.
Da un lato o dall’altro alla fine c’è sempre l’oceano ad attenderti per coccolarti prima di ripartire con le sue spiagge immense (e libere..), la gente sempre in costume, gli skateboard, il surf, le torrette dei bagnini. E’ sempre meglio passarlo lì l’ultimo tramonto americano, o almeno.. a me piace così.

Guilty Pleasures

 

 

Ognuno ha i suoi, inutile negare. Fanno bene alla salute, alleggeriscono l’umore dopo una pessima giornata, la fanno iniziare senza troppe paturnie, e forniscono un valido antidoto, ad esempio, a cose tipo Von Trier.

Già perchè dopo aver visto Antichrist o Dancer in The Dark, di sentirsi dei fighi pazzeschi ascoltando o guardando qualcosa di impegnato e intelligente non se ne ha la forza.. quindi giù di squinzie che non arriveranno alla stagione successiva, boyband da sentire pensando ai loro addominali.

Mio marito, ad esempio, ascolta Paola e Chiara. Le ascolta e non se ne vergogna, salvo poi ricoprirle giustamente di insulti rendendosi conto che la parola plagio è stata coniata il giorno della loro nascita, o in ogni caso è la loro parola preferita del vocabolario insieme a kamasutra. E’ un pò come quell’istinto che ci fa rallentare vicino agli incidenti stradali, salvo poi dire “oddio che impressione” e avere gli incubi per una settimana.

Io, ovviamente, non ne sono immune.

Musicalmente non ho moltissimi guilty pleasures, anche se ammetto di aver scaricato Alors on Danse e di averla sentita con i finestrini abbassati e le casse che bestemmiavano… ma è una canzone sola e non conta. Ho avuto il mio momento trash ma è finito quando ho scoperto che praticamente tutte le eroine ghei del genere in realtà sono delle piccole fascistelle. Dunque addio Fa Chic con i suoi biscotti nel tè. addio Zingara come sveglia dell’iPhone e soprattutto addio ai ben 5 (cinque) cd MIX BORGO autoprodotti e successivamente incendiati. Perchè insomma, anche i guilty pleasures devono avere una dignità.

Poi ci sono i guilty pleasures televisivi, che sono i più scandalosi e inconfessabili. I reality, si intende. Ebbene sì. Per qualche anno li ho evitati, ma sono arrivati la chat collettiva prima e facebook poi, e il reality è diventato un rito durante il quale rischiare la morte soffocati dalle patatine (o dai pangoccioli) leggendo gli status altrui e cercando di produrne di altrettanto letali, in un collettivo AHAHAHAHAHAH che è sacro, dopo una giornata passata tra inutili fogli di carta e stupide emails. Sacro.

Sacro nel senso che prenderei a randellate chi si disturba a commentare le visioni altrui sentendosi non si sa bene per quale motivo (e sarei curiosa di saggiare la cultura di questi personaggi) superiore intellettualmente ed eletto, una mosca bianca nella massa di dementi che celebrano la demenza.

Io rivendico invece il mio diritto ad assistere allo spettacolo della demenza spontanea. Senza essere giudicata. Senza essere infilata nelle statistiche da “italiano medio”. Come ad esempio oggi, giornata nella quale si celebra il successo di Vieni Via Con Me, il nuovo programma targato Fazio / Saviano. L’ho ascoltato. Mi sono annoiata a morte e mi si sono rivoltate le budella ad ascoltare tanta retorica da riempirci una collana sempiterna di libri Cuore. E questo, a quanto pare, mi rende ignorante e incivile. Perchè non voglio sentire la storia della camorra in prima serata raccontata da uno che non lo sa fare? Ridateci Superquark, nei secoli dei secoli. O perchè non voglio che Fabio Fazio, Gianfranco Fini, Bersani o una qualche lavoratrice albanese mi raccontino i valori dell’Italia?

La risposta più frequente? Eh ma se l’alternativa è il Grande Fratello… Quindi fatemi capire, l’utilizzo dei congiuntivi corretti rende obbligatoria la visione? E se uno, per caso, ma solo per caso, dopo una giornata di lavoro, di bollette, di estratti conto e figli cagacazzo non avesse granchè voglia di sentire il pippone sulle varie organizzazioni criminali? Ci avete pensato? Io sì, ed è per quel motivo che i grandi ascolti del GF o di C’è Posta Per Te non mi sorprendono per niente. Constatato che, a livello di intrattenimento puro da qualche tempo non esiste più una valida alternativa al reality, non trovo affatto strano che tra la bastonata in stile Tafazzi e due ore di non-pensiero l'”italiano medio” preferisca distrarsi con la demenza altrui.

Qualcuno probabilmente tra i guilty pleasures avrebbe messo anche X Factor Uk e American Idol.. ma considerato che tra pochi giorni assisterò al concerto di un ex aspirante American Idol (che è Adam Lambert) che in un paio d’anni è passato da giornate riempite dal Topexan ad un tour mondiale proprio grazie a quello show, credo di poter senza difficoltà rifiutare la banalizzazione di questi ultimi.

Cinematograficamente invece, è un’altra storia. Se è vero che spesso e volentieri mi addormento con Il Silenzio degli Innocenti perchè quella bella colonna sonora mi rilassa come niente al mondo (almeno fino alla testa nel vaso..ma tanto mi addormento prima), altrettanto spesso invece scelgo tutti quei film di catastrofi naturali (e per naturali intendo cose tipo i vulcani ma anche Bruce Willis) e invasioni aliene che tanto fanno inorridire i cinemaniaci. Compreso mio marito.

Ma chissenefrega, senza vergogna alcuna riguardo alternandoli Dante’s Peak (stupendomi ogni volta del salvataggio del cane), Indipendence Day (alzandomi puntualmente ad applaudire durante il discorso del presidente ai disadattati diventati piloti di jet), The Day After Tomorrow che ha come valore aggiunto la presenza di quel bonazzo di Dennis Quaid che attraversa gli Stati Uniti a piedi durante la glaciazione e arriva a New York in tre giorni e ora che ci penso dovrei decidermi a reperire Vulcano a Los Angeles che racchiude tutte insieme una serie di meraviglie a partire da Tommy Lee Jones fino all’utilissima lezione di vita su come evitare le palle di lava. Mi raccomando fissatele, e scansatevi all’ultimo, se no sono cazzi amari. Un capitolo a parte lo merita Tremors, che è talmente radicato nella mia mente da portarmi, nelle lunghe ore tra una destinazione e l’altra nei deserti di California, Nevada ed Arizona a calcolare mentalmente la distanza tra una roccia e l’altra chiedendomi se sarei riuscita a saltare senza mettere i piedi per terra. Anche lì, la figaggine di Kevin Bacon bilancia la schifezza delle budella di Tremors sparpagliate un pò ovunque per tutto il film, ma il bello di questo genere sta tutto lì: il bonazzo rude possibilmente lurido che salva il mondo.

Un pò come la favola del principe azzurro, per adulti però, cioè per quelli che sanno che per come era descritto il principe azzurro era sicuramente gay e al primo avvistamento di qualcosa di simile ad un drago (o una glaciazione.. o un vermone con dentro altri vermoni.. o un pazzo terrorista tedesco balbuziente) ci avrebbe lasciati lì a soccombere, inevitabilmente.

 

 

 

Bloody Friday

Penso di essere l’unica oggi a detestare il venerdì, e ad esserne angosciata.

Eh già, perchè da lunedì finisce la malattia e bisogna tornare a lavorare. Bisogna, proprio, perchè potendo continuerei la mia favolosa routine di serie tv, quiz per la patente e delizie culinarie, in barba al lavoro che nobilita l’uomo. Io mi sento molto più nobile quando cazzeggio indiscriminatamente, invece.

Ma, e c’è sempre un ma (in questo caso un ma molto grosso), urge recuperare della pecunia dal momento che proprio ieri è stato posto il primo mattone della vacanza più agognata, ambita, sognata, e soprattutto voluta della mia vita: ovvero il volo per Los Angeles. Che è costato millemilaeuri in più del previsto visto il ritardo dovuto ai recenti accadimenti ma che siccome si vive una volta sola, e anche di merda, abbiamo deciso di acquistare comunque.

Non è il lavorare che mi spaventa, anzi, ben venga avere una distrazione anche se si tratta di usare SAP tutto il giorno… la cosa terrificante sarà dover parlare con altri esseri umani che dopo un mese di isolamento mi terrorizzano come un branco di leoni affamati soprattutto perchè vista la mia nota misantropia l’idea di dover rispondere a raffiche di domande tipo “cosa è successo” “come stai ora” mi paralizza a morte.

Ma facciamoci coraggio, e godiamoci questo ultimo giorno “libero” con una visione obbligata per svariate ragioni: la recente scomparsa del grande Hopper, in primis, poi quelle strade, quei colori…. sono il motivo per cui attraverserò l’oceano e non solo quest’estate e infine.. cosa può farti sentire più libero di viaggiare urlando BOOOOOORN TO BE WIIIIIIIILD?