Io ed E avevamo questa consuetudine, nata un lontano e gelido giorno di gennaio.
Quella sera saremmo dovute andare a vedere il nuovo Allen ma la vista di un centro di Milano completamente innevato bloccò tutti i propositi di fedeltà alleniana. Così invece di chiuderci in sala andammo in giro un po’ camminando un po’ cadendo per Milano, ridendo e lanciandoci addosso palle di neve cosa che credo di non avere mai fatto nemmeno da bambina.
In tutto questo ci avvicinammo a casa mia e tra una caduta fortuita e un rotolarsi addosso del tutto consapevole ci ritrovammo completamente fradice.
La ricordo come una delle più belle serate della nostra storia, anche perché di serate in realtà ce ne sono state poche.
Una volta a casa mia, tolti gli abiti ghiacciati e messi ad asciugare, indossò una maglia (ricordo che era quella di calcio dell’Irlanda del Nord) scelta accuratamente nel mio armadio e con addosso solo quella prese a camminare per la stanza, spulciando qua e la, cosa che non aveva mai fatto prima e nella mia libreria, nascosta dietro ad una pila di libri trovo La Divina Commedia.
Lauerata in lettere, e con tesi proprio su Dante, in realtà non è che ne avesse bisogno, della mia stupida minuscola edizione economica, per citarlo a memoria…ma quella sera decise di sedersi e leggermela.
Misi ( ) dei Sigur Ros, lei prese i suoi occhiali e così, con addosso solo la mia maglia, si sedette sulla poltrona e iniziò a leggere.
Saranno stati gli occhiali (e gli occhiali da vista in una donna che non li mette mai sono una cosa che mi annienta seduta stante), saranno stati i Sigur Ros, sarà stata la neve… o forse sarà stato proprio Dante… di chiunque sia il merito / la colpa credo che fu quella la sera in cui mi innamorai.
E da quella sera, è diventato il nostro rito, l’unica abitudine in una storia dove non ce ne sono mai potute essere.
In uno di questi riti decidemmo di chiamare la sua bambina Beatrice, se lui non avesse opposto resistenza, e così fu in effetti. Lui non ha mai opposto resistenza e non ha mai provato interesse per nulla che la riguardasse, quindi non mi sorpresi quando mi disse che sì, le aveva dato il NOSTRO nome.
Qualche anno dopo, quasi per sancire la fine del pezzo di vita trascorso insieme e per cercare di riempire il silenzio del mio rancore che non accennava a scomparire, il nostro rito è ricominciato.
Che cosa strana, tornare in quella casa, e per prima cosa (nel vero senso della parola, senza esagerare) notare la sua assenza.
L’ho percepita subito e non so perché non mi sia arrivata quell’ondata di euforia che mi aspettavo. Non era quello che volevo, in fondo, che lui se ne andasse?
Sarà che non ha ancora sistemato e che quindi i rettangoli vuoti sulle pareti (cosa che mi ha dato da pensare.. pensavo che i ricchi imbiancassero..che so…una volta all’anno? Non mi immaginavo aloni, intorno ai quadri nelle case dei ricchi) sono un segno piuttosto eloquente di vuoto e in effetti non ci vuole molto sforzo a percepire che c’è qualcosa che si è cercato disperatamente di cancellare.
E quindi non ci sono più le foto del matrimonio, del viaggio di nozze e delle loro vacanze sborone, i primi piani fastidiosi di lui.. al loro posto, per ora, solo qualche foto di Beatrice, e il vuoto.
Le riproduzioni di quadri impressionisti intuisco se li sia portati via lui, perché al loro posto per ora non c’è nulla. E so che lei detesta le pareti vuote.
Solo dopo queste prime considerazioni “visive”, e senza la tanto attesa euforia che mi aspettavo di provare entrando nella casa sapendo che lui l’aveva lasciata posso finalmente concentrarmi sul motivo per il quale sono lì.
E ciò che ricordavo bello ora lo è di più, ciò che è cambiato è cambiato in meglio. Gli occhi e il sorriso sono proprio come li ricordavo e come è sempre successo riescono a paralizzarmi e demoliscono ogni tipo di difesa per quanto io possa essermi preparata.
Mi ci vuole qualche minuto, dunque, a prendere in mano la situazione, a girare il viso durante il nostro saluto e a sedermi a debita distanza.
Non ho alcuna intenzione di toccarla, non oggi, è importante che capisca ciò che ha fatto e che mi ha fatto passare e finchè non ne sarò convinta, ci saranno solo conversazioni.
E silenzi.
Parecchi, devo dire.
E quando piange, piange da sola, perché non sarò io quella che consola, non stavolta.
Io prendo Beatrice e la porto a giocare in camera sua..e quanto sembra più piccola, ora che i giochi si sono moltiplicati, e lei è cresciuta.
Nel tragitto noto che i quadri sono spariti dappertutto..nei corridoi, e da quello che posso intravedere, anche in camera da letto.
Tornando da lei noto una cosa che prima mi era sfuggita e tra le mensole scorgo proprio quella minuscola Divina Commedia, la mia.
Non ho potuto fare a meno di sorridere e deporre per un momento le armi, chiedendole di prendere i suoi occhiali, e ricominciare a leggere.
Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,
tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova;
ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.
A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa,
l’amor che move il sole e l’altre stelle.
Io vidi già nel cominciar del giorno
la parte oriental tutta rosata,
e l’altro ciel di bel sereno addorno;
e la faccia del sol nascere ombrata,
sì che per temperanza di vapori
l’occhio la sostenea lunga fiata:
così dentro una nuvola di fiori che da le mani angeliche saliva
e ricadeva in giù dentro e di fori,
sovra candido vel cinta d’uliva
donna m’apparve, sotto verde manto
vestita di color di fiamma viva.
E lo spirito mio, che già cotanto
tempo era stato ch’a la sua presenza
non era di stupor, tremando, affranto,
sanza de li occhi aver più conoscenza,
per occulta virtù che da lei mosse,
d’antico amor sentì la gran potenza.
Tosto che ne la vista mi percosse
l’alta virtù che già m’avea trafitto
prima ch’io fuor di puerizia fosse,
volsimi a la sinistra col respitto
col quale il fantolin corre a la mamma
quando ha paura o quando elli è afflitto,
per dicere a Virgilio: “Men che dramma
di sangue m’è rimaso che non tremi:
conosco i segni de l’antica fiamma”.