Books To Remember // L’ opera struggente di un formidabile genio

Prendere un romanzo che non sia uno di quelli “classici” e cercare citazioni in questa lingua morta che è l’italiano è in impresa titanica.

In questo caso, la prima cosa che mi capita di aprire è wikipedia. E cosa scopro? Un genere letterario a me sconosciuto: il Realismo Isterico. Esiste davvero? O se lo è inventato wikipedia? A quanto pare però questo libro farebbe parte della categoria, e quasi quasi sono d’accordo. Non ho idea di come si faccia a catalogare un romanzo in due secondi quindi prendo in prestito questo termine.

“Siamo in troppi, sono in troppi. Troppi, Troppo simili. Che ci fanno tutti qui? Questo starsene in piedi, seduti, parlare. Non c’è neppure un tavolo da biliardo, delle freccette, niente. Semplicemente un gran cazzeggiare, perdere tempo, bere birra da boccali di vetro spesso… Ho messo a repentaglio la mia vita per questo? Urge che accada qualcosa. Qualcosa di grosso. La conquista di qualcosa, che ne so, di un edificio, una città, un paese. Dovremmo tutti armarci e conquistare dei piccoli stati. Oppure dovremmo organizzare dei tafferugli. Oppure no, delle orge. Ecco, ci dovrebbe essere un’orgia. Tutta questa gente. Dovremmo chiudere le porte, abbassare le luci e spogliarci tutti insieme. Potremmo cominciare noi, K.C. e Jessica, e poi via alla grande. Allora sì che ne varrebbe la pena, allora sì che tutto troverebbe una giustificazione. Potremmo spostare i tavoli, portare dei divani, dei cuscini, degli asciugamani, degli animali di peluche… Ma tutto questo… tutto questo è osceno. Come possiamo starcene qui a parlare di nulla, invece di correre come un’unica fiumana di gente verso qualcosa, qualcosa di enorme, e ribaltarlo? Perchè ci diamo la briga di venire qui in così gran numero, se poi non appicchiamo nemmeno un incendio e non facciamo a pezzi tutto quanto? Come osiamo starcene qui senza chiudere le porte, sostituire le lampadine a luce bianca con altre rosse, e dare inizio a un’orgia di massa in un gioioso mescolarsi di braccia gambe e seni? Che spreco.”

Rincorrerci colpendoci con oggetti vari è tutto sommato la sola cosa a cui siamo entrambi interessati, e così il resto delle nostre operazioni domestiche ne risente. Ciondoliamo più o meno tutto il giorno, inciampando continuamente in qualcosa che dovremmo saper fare (come sgorgare la tazza del water, come lessare le pannocchie di mais, codice fiscale e data di nascita esatta di nostro padre), e così ogni giorno che Toph va a scuola e io al lavoro, e torniamo in tempo per una cena che cuciniamo e mangiamo prima delle nove, in modo che Toph possa andare a letto entro le undici e non avere quei cerchi blu intorno agli occhi, chiaro segno di malnutrizione, come ha avuto per tutti quei mesi l’anno scorso – chissà come mai – ci dà l’impressione di essere stati capaci di un sensazionale gioco di prestigio – una fuga dalle fauci della morte, la Statua della Libertà nascosta in una manica.

L’opera struggente di un formidabile genio è un libro autobiografico, in cui Eggers racconta la sua vita e quella del fratello più piccolo Toph a cui si ritrova a fare da padre e madre quando entrambi muoiono nel giro di pochi mesi e con il quale decide di partire immediatamente, da Chicago verso il caldo della California. A quanto pare, per quanto possa essere amato in patria, ho trovato un sacco di recensioni negative, quindi metto le mani avanti: per quanto mi riguarda è uno dei migliori scrittori americani viventi. Non esagero. A partire dall’impaginazione, l’utilizzo di qualsiasi spazio utile all’interno del libro per parlare parlare parlare e il romanzo che si allarga fin quasi alla copertina. Ok mi basta poco, ma posso facilmente impazzire quando trovo scritte dove non dovrebbero esserci.

E’ megalomane, come fa intuire il titolo, ma mi sconcerta sapere che qualcuno veramente ci si incazza per queste cose (perchè è così ve lo giuro). Iniziare una recensione con le palle girate perchè nel titolo Eggers si è autoproclamato genio è tanto assurdo quanto frequente.

Insomma, un pò genio lo è, anche più di un pò. La prosa è esagerata, fitta, snervante, Eggers ama le parole e io amo lui. Non è facile da leggere, va detto. E’ un pò come David Foster Wallace, ma non “così” difficile. Non cade mai nel patetico, anche se sarebbe semplice visto il punto di partenza del romanzo, a tratti è divertente, a tratti ti trovi a rileggere le stesse pagine perchè distratto dai pensieri su ciò che hai letto in precedenza.

L’ opera struggente di un formidabile genio è il primo romanzo di Eggers, e non è che un punto di partenza che mi constringe a parlare e a consigliare anche gli altri, e in particolare questi due: Erano solo ragazzi in cammino e Conoscerete la nostra velocità.

Il primo narra della vita di Valentino Achak Deng, ragazzo del Sudan e del suo viaggio disperato verso il Kenya insieme agli altri bambini sopravvissuti al massacro e alla distruzione dei propri villaggi da parte dei murahaleen. Valentino racconta contemporaneamente il suo passato e il suo presente, il viaggio terribile, la vita dei campi profughi e la nuova vita negli Usa (dove ora si occupa realmente dei giovani del Sudan), nuova ma non senza problemi, e in questa parte dialoga direttamente con l’occidentale, l’americano al quale tenta di far capire cosa ha passato e sta passando.

“Dimmi, Michael, dov’è tua madre? Hai mai visto il terrore nei suoi occhi? Nessun bambino dovrebbe essere costretto ad assistere a niente del genere. E’ la fine dell’infanzia vedere il volto della propria madre crollare, il suo sguardo morire. Quando ti rendi conto che si sente sconfitta al solo avvicinarsi di una minaccia. Quando non crede più che sarà in grado di salvarti.”

“Correvo bucando l’oscurità. Correvo perché non c’era nessuno che mi dicesse di fermarmi. Correvo e ascoltavo il mio respiro, forte come quello di un treno, e correvo con le mani stese davanti a me per proteggermi dagli alberi e dai cespugli.”

“Sono stanco di avere bisogno d’aiuto. Ho bisogno d’aiuto ad Atlanta, avevo bisogno d’aiuto in Etiopia e a Kakuma, e sono stanco. Sono stanco di guardare famiglie, fare visita a famiglie, essere allo stesso tempo partecipe ed estraneo a queste famiglie.”

Ne ho scritto tempo fa, e mi chiedevo allora e continuo a chiedermi per quale motivo non si parli in continuazione di questo libro, perchè non venga pubblicizzato ovunque al posto del libro di Bruno Vespa (uno qualsiasi, tanto ne scrive uno ogni sei mesi), perchè non venga fatto leggere nelle scuole. Perchè questo libro non si allontana molto da “Se questo è un uomo”, ad esempio. L’uomo (in questo caso, ancora peggio, il bambino) che diventa bestia per sopravvivere.

Conoscerete la nostra velocità invece racconta un viaggio e due amici, Will e Hand. Un viaggio assurdo: il giro del mondo in una settimana. Lo scopo, spendere una grossa somma di denaro di cui sono venuti in possesso inaspettatamente. E anche se sembra assurdo, non sarà affatto facile.

“La terra era così nera e umida. Lei annaffiava spesso. E per tutto quel tempo io accarezzavo con delicatezza ogni anfratto della mia mente, vagabondavo dentro la mia testa, le lacrime agli occhi per la gioia, assorto, e amavo le sue superfici, le mille stanze, quelle antiche e quelle vuote. (…) Ma piano piano le stanze vuote si riempiono. E si riempiono di cose talmente orrende e brutali che non potresti neppure concepirle, a tredici anni. E presto ti ritrovi che ci sono troppe, troppe stanze occupate e troppo poche sono quelle ancora vuote. Cammino per i corridoi, apro porte, ed è difficile ormai trovare una stanza vuota o che non sia piena di nuvole urlanti.”

“Non vedi quanto ci somigliamo? Voglio dire tu e io, Will? Tutti e due reagiamo di fronte agli estranei. Non ci piace passare davanti alla gente senza fare un cenno di saluto. Quando la gente è maleducata andiamo in pezzi. Quando la gente non ci viene incontro andiamo in pezzi. Non siamo in grado di accettare i termini consueti, gelidi, abbottonati, circostanziati delle relazioni umane. I nostri cuori strattonano il guinzaglio, Will!”.

C’è un pò di tutto, la fuga, la perdita, il dolore (fisico e non), la paura del diverso, la difficoltà degli americani a rapportarsi con il resto del mondo. Malinconico, un pò doloroso come gli altri romanzi di Eggers che come al solito scrive divinamente.

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